La vera “pandemia” per il settore delle costruzioni è iniziata già nel 2008, quella crisi iniziata negli States, che nel giro di pochi mesi si è abbattuta come un tornado anche in Europa, ha fin dall’inizio fatto “scricchiolare” quel mattone che non erano poi così solido. E i numeri sono a dir poco esplicativi visto che in questo ultimo decennio il settore della costruzioni a livello nazionale ha perso oltre 600mila addetti e 120mila imprese. Nello stesso periodo nel Nordest sono andati in fumo più di 100mila posti di lavoro e chiuse circa 13mila imprese.
L’indagine sul mattone
www.enordest.it inizia una sorta di “check-up” al mondo delle costruzioni che in questi ultimi dodici anni sta vivendo uno dei momenti più difficili. Come conseguenza di ogni posto perso nell’edilizia se ne perdono altri 2,5 nell’indotto (idraulica, falegnameria, impiantistica). Ne parliamo con Andrea Marani, 71 anni, da cinquanta al comando dell’azienda messa in piedi dal padre Renzo alla fine del secondo dopoguerra. Andrea Marani, geometra, è riuscito a esportare l’azienda in tutto il mondo. Vanta anche una lunga carriera ai vertici delle associazioni nazionali di categoria: è stato vicepresidente nazionale dell’Ance (che riunisce i costruttori edili), presidente regionale e poi del Triveneto per la categoria, due volte presidente dell’Ance di Verona che è la più forte nel Veneto.
Il tempo passa, i problemi sono sempre gli stessi. Più di un decennio fa lei vedeva la mala burocrazia come uno dei principali ostacoli alle imprese: cosa è cambiato?
“Purtroppo è aumentato e peggiorato. Oggi la burocrazia non è più cartacea ma online, i problemi però restano. Abbiamo bisogno di risposte tempestive anche se negative. Invece banche e pubbliche amministrazioni creano solo ostacoli. L’Italia è stata fatta anni addietro, magari non sempre in modo impeccabile, ma nel 2020 non si fa più niente. Una volta le nostre imprese rappresentavano il cuore pulsante del Paese e del Nordest, oggi diamo lavoro ad avvocati, commercialisti e tribunali. Ma non usiamo più il mattone”.
Degrado dei nostri centri storici. La decantata riqualificazione urbanistica sembra rimasta nel libro dei sogni. Eppure si potrebbe ridare ossigeno a migliaia di imprese con il mattone
“E’ vero ma credetemi non ci lasciano lavorare. Mi chiedo che idea di Paese e di crescita abbia chi sta decidendo in queste ore le modifiche al decreto semplificazioni: si sta andando verso l’immobilismo, il degrado dei nostri centri urbani e la deregolamentazione delle procedure di gara invece di snellire quelle a monte. Per aiutare le nostre città a rinascere dopo una crisi durissima e dopo anni di immobilismo occorrono strumenti flessibili affinché si possa intervenire per demolire edifici in disuso privi di valore storico-artistico, dando nuova vita a zone dismesse e insicure. La tutela dei centri storici che sta a cuore a tutti non si ottiene moltiplicando vincoli e impedimenti che di fatto bloccano ogni iniziativa di recupero e di trasformazione urbana che nelle altre capitali europee è una prassi consolidata da oltre 20 anni. Anche perché non mi pare che la politica dei vincoli abbia impedito in questi anni il proliferare di ambiti di degrado anche sociale all’interno dei centri storici”.
C’è una parte del Paese che si sta sgretolando. Mancano le opere fondamentali anche in regioni un tempo ritenute economicamente al passo con l’Europa più industrializzata….
“Guardate che questo problema lo evidenziamo da almeno vent’anni. E’ vero, abbiamo delle colpe anche noi, ma banche e burocrazia ci stanno seppellendo. Come se non bastasse una parte del “sistema” ci vede solo come avvoltoi, propensi solo a far cassa. Permettetemi un esempio di come si opera all’estero. In Canada si mettono assieme 4-5 aziende per formare una società, portare avanti un’idea di sviluppo e quindi essere propositivi. Da noi esiste ancora la logica dei prezzi al ribasso, ci si “scanna” a vicenda e spesso un progetto lo si dà non a professionisti, ma a mediocri che chiaramente lavorando a basso costo cosa possono realizzare?”