L’Italia è un Paese di santi. E anche di santuari. Oltre 1500 disseminati in ogni parte della penisola, arroccati su alture, incastonati come gioielli in contesti urbani, splendidamente isolati tra lande boschive o in eremitiche valli. Sono esempi della fede luminosa dei nostri antenati e della loro straordinaria maestria artigianale ed artistica. Spesso veri gioielli architettonici, fiori all’occhiello del patrimonio culturale italiano.
Viaggi e santuari
Da sempre meta di pellegrinaggi e della devozione di tanti credenti e non, oggi soffrono, assieme a tutto il resto del comparto turistico, della conseguenze della pandemia. Gli effetti del coronavirus si sono fatti sentire ovunque. Da San Giovanni Rotondo ad Assisi, da Pompei a Loreto. Così nei tanti santuari del Veneto, a iniziare dal Santo a Padova, che ogni anno attrae a sé oltre 4 milioni di pellegrini e turisti.
Economia in ginocchio
Il covid sta mettendo in ginocchio un’economia che ruota attorno al santuario. Presto per fare stime e numeri attendibili delle perdite economiche. Certamente a soffrire sono molti soggetti “all’ombra del campanile”: strutture alberghiere, operatori turistici, musei e gallerie d’arte, società di trasporto.
Ma non solo, perché il cosiddetto turismo religioso muove aziende produttrici, artigiani, artisti, consulenti in edilizia di culto, destinazioni e cammini spirituali, fornitori del mondo ecclesiastico e della distribuzione; e ancora punti vendita specializzati, designer, architetti, liturgisti, comunità religiose. Un intero mondo che gravita sul sagrato, dà lavoro a migliaia di operatori e che permette al pellegrino l’accoglienza decorosa la visita e la comprensione di questi luoghi dello spirito.
Il viaggio dello Spirito verso i santuari bloccati
Ecco la questione più seria, aldilà delle sanguinose perdite economiche e i bilanci in profondo rosso profondo: il viaggio dello spirito e la sua ricchezza che non si misura certo in euro, ma in bisogno di interiorità, in sete di cultura, in occasione di trascendenza, rischia di trovare la strada sbarrata, l’ingresso chiuso.
Il “cammino” non è più “casa”
L’andare per il “cammino” e la meta del santuario, da millenni, offrono tutto ciò ai pellegrini. E lo offriranno sempre, perché sono la risposta a un’esigenza dell’anima. Quella di sostare davanti al sacro, al mistero, al numinoso. Poco importa che sia una reliquia di un santo, un luogo mariano, la sede di una congregazione o il segnacolo dove il miracolo è avvenuto. Lì ti trovi “a casa”, lì senti di dover sostare per fare pace con te stesso.
I giovani cercano la fede
E se anche i giovani oggi, la “prima generazione incredula” com’è stata definita dai sociologi, che vive un difficile rapporto con la fede, torna ad avvicinarsi ai pellegrinaggi, scopre i cammini e i santuari, significa che questi luoghi, pur nella società dell’indifferenza, esercitano ancora un fascino particolare, unico. Quello che sprigiona un tempio in cui si può vivere una vera e propria “avventura dello spirito”. I santuari, con il loro silenzio che provoca al viaggio ben poco virtuale nell’interiorità, non offrono solo “religione” ma “spiritualità.
Non più turismo religioso ma spirituale
Ecco perché non di “turismo religioso” si comincia a parlare ma di “turismo spirituale”. La fascinazione dei monasteri, del gregoriano, dell’ora et labora e del romitaggio, del monachesimo cistercense, tanto per citare solo un esempio, e che grandi monumenti hanno “edificato” nella nostra Europa, resta del tutto intatta. Anzi nuovi “cercatori spirituali”, camminatori sui sentieri degli antichi pellegrini, anime in ricerca di senso stanno già riempiendo zaini e valigie, sulle tracce del sacro e del bello. Il covid forse potrà solo posticiparne la partenza.