La Camera dei Deputati ha appena ratificato la convenzione di Faro riguardante il patrimonio culturale. In attesa del voto in Senato, si è scatenata la polemica sul contenuto della convenzione. Secondo i più critici la convenzione comporterebbe di dover limitare la fruizione, anche eventualmente coprendo l’opera d’arte, laddove si possa offendere altre culture. Ciò renderebbe, ai loro occhi, la ratifica una “resa culturale” della nostra civiltà.
Opera d’arte dileggiata
Apriti cielo. Il concetto di cultura e quello di eredità si sono trovati catapultati nella contemporaneità, in un calderone insieme a immigrazione, crisi economica, difficoltà di trovare lavoro, paura del presente e del futuro. I commenti, dalla politica alla società, hanno immediatamente puntato l’indice su una presunta generale sensibilità islamica riguardo alle opere d’arte nei nostri musei e nelle nostre piazze.
Non è un caso: la notizia d’attualità si inserisce in una narrazione già esistente. E qui entra in gioco il meccanismo fisico della reazione uguale e contraria adattato alla dimensione psicosociale, in cui la reazione può anche essere cento volte più potente del fatto originario, che può non esistere. Ad una notizia non verificata e piuttosto complessa e tecnica si risponde, nella migliore delle ipotesi, con indignazione.
Convenzione e opera d’arte
La parte della convenzione che potrebbe far pensare all’interpretazione della convenzione in chiave di copertura delle opere d’arte è il punto 4, che recita: “L’esercizio del diritto all’eredità culturale può essere soggetto soltanto a quelle limitazioni che sono necessarie in una società democratica, per la protezione dell’interesse pubblico e degli altrui diritti e libertà.”
Franceschini e la sicurezza
Il Ministro Franceschini ha dichiarato che le eventuali limitazioni sarebbero fondamentalmente legate a condizioni di salute e sicurezza, come ad esempio nella situazione di lockdown, e che la convenzione non comprende in alcun modo il concetto di censura.
Il Ministro ha anche condiviso una riflessione sull’innovatività del testo della convenzione di Faro, che individua come patrimonio culturale non soltanto gli oggetti, ma tutto l’insieme dell’eredità che ci è stata lasciata e che ne supporta la fruizione costante e profonda. Le parole di Franceschini, piuttosto tecniche, non hanno avuto grande effetto sull’opinione pubblica.
Opera d’arte e salute
A noi, in realtà, interessa il fatto che la discussione sulla convenzione di Faro ha una forte eco perché si tratta di un tema estremamente sensibile. Una parte della nostra salute, a livello individuale e di gruppo, è legata alle norme sociali, che derivano dalla stratificazione culturale. Si tratta di un meccanismo adattivo che ci permette di vivere la quotidianità: le norme rendono la vita fondamentalmente prevedibile, almeno per quanto riguarda le sicurezze basilari, e permettono di tenere sotto controllo i livelli d’ansia.
La privazione della cultura e dell’opera d’arte
Il fatto che non si possa venire sfidati a duelli all’ultimo sangue o che non si rischino rapimenti in pieno giorno sono frutto di una cultura che si è stratificata negli anni. Nell’antichità i combattimenti tra gladiatori erano tranquillamente accettati, l’evoluzione culturale (non sempre migliorativa) ha mutato questa condizione.
Sentirsi privati della cultura, che è visibilmente rappresentata da oggetti, provoca paura e rabbia. Queste emozioni sono un trigger potente, capace di causare comportamenti spontanei e decisamente utilizzabile da chi sa come manipolare l’opinione pubblica.
Che vinca la post verità?
E allora, noi, cosa dovremmo pensare? Ai fini dell’argomento di questo articolo – la salute individuale e sociale legata alla consapevolezza delle proprie radici e alla sicurezza della sua perpetrazione – probabilmente non è così fondamentale comprendere quanto la convenzione di Faro sia effettivamente una minaccia per la nostra cultura.
L’importanza della cultura e dell’opera
È invece importante ricordare giorno dopo giorno l’importanza di valorizzare, fruire, essere orgogliosi e diffondere la nostra cultura. Ci ricordiamo di avere una nostra cultura quando la sentiamo minacciata, spesso dimentichiamo di curarla giorno per giorno. E abbiamo permesso che visioni culturali specifiche diventassero patrimonio di parti politiche, quando esistono alcune cose non andrebbero divise.
L’orgoglio e il valore del proprio passato, l’inclusione e la contaminazione sono processi costanti che devono essere un bene di tutti, specialmente nel nostro paese che ha una storia millenaria. Un leader illuminato ha il dovere di dare una prospettiva che va dal passato al futuro, l’alternativa è il conflitto.
Cultura ieri e oggi
La cultura di ieri non deve poter offendere nessuno oggi, perché fatti e pensieri vanno contestualizzati. Il bigottismo del politicamente corretto sta diventando l’opposto di quanto poteva essere nelle idee di chi parlava di convivenza sociale pacifica e prolifica. La nostra salute, individuale e sociale, passa dal ricordo, dallo studio e dalla contestualizzazione del passato, dalla comprensione e dall’accettazione del presente, dall’impegno per un futuro migliore.
Una società che accetti questo valore a livello collettivo, la cui classe dirigente condivida gli assunti culturali di base, sarà attrezzata ad affrontare un futuro incerto. L’alternativa è perdere una cultura che non si è capito e non si è valorizzato quando si era ancora in tempo.