Vittoria scontata, non accettavano più nemmeno le scommesse. C’era solo un dubbio, a quanto si sarebbe fermato il fenomeno Luca Zaia: al 70% dei consensi oppure all’80%? Gli elettori hanno deciso per il 76%. Ed è il voto più alto mai dato a un presidente di Regione nella storia delle elezioni repubblicane. Con lui anche il segreto del successo di Luigi Brugnaro, rieletto sindaco di Venezia.
Il fenomeno Luca e gli antagonisti
Facile anche perché gli avversari avevano schierato una squadra non competitiva, per il Centrosinistra è stato un tracollo. Lorenzoni era sì una vittima sacrificale e ha ragione quando dice che non c’era la corsa a candidarsi. Ma è anche vero che nel sacrificio ci deve essere almeno un po’ di dignità. Certo non è stato aiutato troppo dal suo partito e nemmeno dalla fortuna, si è ammalato di Covid nel momento più caldo della campagna elettorale, ma il 16% di Pd e alleati è la percentuale più bassa nella storia regionale veneta.
Gli errori del PD
Il Pd ha commesso un grave errore, sapendo che la battaglia sarebbe stata perduta avrebbe dovuto costruire il futuro. Si poteva puntare, per esempio, su un candidato giovane, meglio se su una donna. E si dovevano gettare le basi per il domani, non affidarsi a un candidato fino a quel momento fuori da molti schemi e poco conosciuto oltre la sua città, Padova. Il vecchio discorso del Pd veneto: c’è confusione su chi comanda, ha paura di decidere, sottovaluta spesso l’altra parte.
Massimo Cacciari analizza il fenomeno Zaia
Per molti aspetti ha ragione Massimo Cacciari quando fa presente che tra i voti di Zaia non pochi vengono dalla base del Pd. A sottolineare che gli uomini spesso contano più dei partiti, specie se come in questo caso si dimostra la forza di un “partito personale”.
Il fenomeno Zaia influisce anche su Venezia
Il discorso delle scelte vale anche per Venezia dove il sindaco uscente Luigi Brugnaro ha vinto al primo colpo, anche lui con un “partito personale” risultato il più votato. Tutte le speranze dello sfidante Baretta erano affidate non a un successo, ma alla possibilità di arrivare al ballottaggio. Come dire che si partiva già perdenti.
La scelta
Anche in questo caso la scelta del candidato è arrivata in ritardo, dopo alcune rinunce e non con la spinta completa della colazione. Si è bruciato un candidato di qualità e serietà che ha sì mostrato dignità nella sconfitta, ma non è riuscito a scalfire nessuna delle certezze di Brugnaro.
Il fenomeno Luigi
Il sindaco sa come muoversi, tocca nervi scoperti della sua città, talvolta cede al carattere e non si controlla, ma ha una visione che altri hanno trascurato, guarda al domani anche se non poche cose sono da rivedere. Ha un progetto e questo è stato un vantaggio non capito dall’opposizione. Non è amato come Zaia, ma sa essere popolare e la Reyer ha contribuito a questo con due scudetti in pochissimi anni.
Rimane il fenomeno Zaia
Resta da spiegare il “fenomeno Zaia” capace di raccogliere con la sua lista il 44% dei voti, tre volte di più della Lega di Salvini. Ha stracciato non soltanto la concorrenza, ma anche la sua parte creando non pochi problemi destinati a esplodere a breve termine. È vero che i partiti personali sono il risultato del declino dei partiti tradizionali, ma è anche vero che Luca Zaia rappresenta un qualcosa a sé.
Chi è Luca Zaia
L’uomo conosce il mestiere, ha 52 anni e da oltre venti è in politica, prima come presidente della Provincia di Treviso, poi come vice di Galan in Regione. Anche un’esperienza da ministro con Berlusconi, alle politiche agricole. E con questo tre mandati alla guida della Regione Veneto, la volta scorsa aveva passato il 60%, tanto per capire che adesso non si è trattato di una sorpresa totale.
Uno sguardo nazionale
Qualcuno lo ha accusato di aver sfruttato a dovere la presenza quotidiana in tv al tempo del lockdown e certo questo ha aiutato, difficile negarlo. Vale anche per De Luca in Campania e un po’ anche per Emiliano in Puglia. In quello che gli esperti chiamano “stato di necessità”, Zaia è stato bravo più che furbo. Con più frequenza di un tg ha dato quello che la gente aspettava: la rassicurazione. Più che parlare alla “pancia” della gente, ha parlato alla gente intercettandone la fiducia, interpretandone gli umori e le aspettative.
Metterci la faccia
Del resto, la faccia ce l’ha sempre messa, nel bene e nel male, nei momenti in cui c’era da riscuotere simpatia e in quelli in cui c’era da ascoltare lamentarsi senza ribattere. Se c’è una caratteristica dello Zaia politico è proprio questo presenzialismo costante e vario: dalla sfilata degli Alpini al disastro nei boschi di Vaia, dalle alluvioni alle sagre. Quasi a marcare i confini della regione.
Un Veneto tra i Veneti
In realtà, lui è bravo a fare quello che i veneti fanno già e questo ne fa uno di loro anche con un certo trasversalismo. Se proprio si deve trovare un mastro, bisogna rifarsi ai big democristiani. Per qualche aspetto, Zaia è un postdemocristiano di quelli più attenti al sacrestano che al parroco, più al bidello che al maestro. Nel senso che quei democristiani –come dimostrava Andreotti e in piccolo Bisaglia – erano capaci di far arrivare il televisore alla parrocchia e lo scuolabus alla classe. Come un vecchio abile democristiano sfugge le polemiche, limita al massimo le gaffes, ascolta i buoni consigli, si contorna di collaboratori fidati ma non disdegna di ascoltare gli intelligenti che non la pensano come lui.
I problemi del fenomeno Luca
Ora Zaia ha due problemi: esaltare e finalmente concludere il percorso dell’autonomia, ratificato dal referendum. E fare in modo che la sua straripante affermazione gli lasci lo spazio per pensare in grande al suo domani. Sull’autonomia non dovrebbero esserci problemi, Roma ha già fatto capire di appoggiare le linee principali. Poi è questione di tempo, questo tipo di autonomia la chiederanno e otterranno anche le altre regioni.
Il secondo aspetto
Più complesso il secondo aspetto: il fenomeno Luca Zaia ha vinto troppo per nascondersi. Il problema è cosa farà adesso. In Regione non ha ostacoli. I numeri sono impietosi per la minoranza e sono destinati a crescere. Con la nomina degli assessori la maggioranza di 41 a 9 potrebbe addirittura straripare. Potrebbe offrire la presidenza del Consiglio alla minoranza (perché no a una donna?) e mettere in crisi per la risposta più l’opposizione che la stessa maggioranza.
Nessun Doge né Zaiastan
Non è un problema di “doge Zaia”, che il tempo dei dogi in laguna è finito da un pezzo e poi i dogi della politica erano più famosi che amati. Nemmeno è tempo di definizioni alla “Zaiastan” per evocare terre dell’est con governatori a vita, perché da queste parti il vento elettorale è più improvviso e scontroso di una tempesta tropicale. È un problema di presente da riempire. Zaia non ha interesse ad agitarsi, saranno gli altri a lavorare per lui. Non deve dimostrare niente, gli basta restare al suo posto per rappresentare un pericolo per gli altri e per chi controlla il suo stesso partito.
Conclusioni
Una cosa è certa: Zaia è Zaia fino a quando resta legato alla sua regione e non solo perché la conosce, ne ha esaltato le particolarità (quanto del riconoscimento Unesco per le colline del Prosecco è dovuto a lui? E quanto dei mondiali di sci a Cortina?), ne ha intercettato umori e odori. Saranno i prossimi mesi a far capire come Zaia saprà gestire il più sorprendente risultato di queste elezioni di settembre. E allora forse anche la politica nazionale avrà una scossa imprevista.