Se vai al cinema di questi tempi (nonostante la mostra di Venezia sia appena finita) puoi essere scambiato all’uscita per un pazzo o per una mosca bianca. Il COVID-19 ha segnato in negativo l’umore di tutti o quasi gli appassionati cinefili. Questa sorte non mi ha sfiorato però con mia grande delusione ho toccato con mano o meglio con occhi questa pesante situazione. Unico spettatore in sala nel cinema Palazzo di Mestre per la visione del film “Il grande passo” del regista Antonio Padovan, veneziano di nascita ma coneglianese d’adozione.
Un Grande passo tra Veneto e Friuli
Al di là di questo, però, sono uscito molto sollevato in quanto unico spettatore di un bellissimo film, una commedia all’italiana come non ne vedevo da diverso tempo e ho goduto doppiamente per aver divorato in perfetta solitudine la mia dose di pop corn senza sentire mugugni a destra, sinistra, davanti e dietro. Un grande film possiamo dire targato Friul-Veneto che vede oltre al già citato regista Padovan, tra i protagonisti Giuseppe Battiston nato a Udine, Roberto Citran padovano, un prezioso cammeo di Vitaliano Trevisan vicentino e udite udite colonna sonora del grande veneziano Pino Donaggio, al quale viene anche dedicato un omaggio durante il film che lo vede cantare la famosa “Io che non vivo” negli anni sessanta.
La storia del Grande passo
La storia, tra l’altro, ampiamente ambientata nella campagna polesana (con un breve passaggio romano), vede protagonisti due fratelli Dario(Giuseppe Battiston) e Mario (Stefano Fresi), che non si vedono da anni. Figli dello stesso padre (nel film il grande Flavio Bucci alla sua ultima apparizione cinematografica), ma non della stessa madre. Dario vive in un casolare in provincia di Rovigo e sogna di poter andare sulla Luna sfruttando i suoi studi interrotti di ingegneria aero spaziale.
Mario vive a Roma con la madre e gestisce un negozio di famiglia di ferramenta. All’improvviso giunge una telefona a Mario da un certo avvocato Piovesan (l’ottimo Roberto Citran). Per informarlo su un incendio provocato dal fratello Dario nel “tentativo” di andare sulla luna. Decide contro il volere della madre di recarsi nel casolare del fratello. Cercare di convincerlo ad iniziare una sorta di ricovero coatto in una casa di cura. Il nome della casa di cura Bruscolotti è tutto un programma, su suggerimento dell’avvocato. Tra i due fratelli che non si vedevano da anni nasce un’inavvertita sinergia, forse, in parte aspettata dallo spettatore.
I dialoghi
Nel loro dialogare nasce la frase più bella del film “Sognare è ciò che distingue gli uomini dagli animali”, dice Dario (Battiston) a Mario (Fresi). Ed è proprio nei loro dialoghi, nelle loro espressioni (più istrionica quella di Dario, più disincantata quella di Mario) che s’intuisce tutto il loro essere agli antipodi dell’eroismo.
La coppia d’oro del Grande passo
Una coppia cinematografica perfetta. Non cade mai di tono rendendo il film molto piacevole costruito anche su una scenografia e una fotografia di ottimo livello. E la regia di Padovan (al suo secondo film con Battiston dopo “Finchè c’è prosecco c’è speranza” tratto dall’omonimo romanzo dell’altro veneto Fulvio Ervas). Che si conferma come uno tra i migliori registi italiani del momento. Durata del film 95 minuti.