Chissà cosa avrebbe scritto Enzo Biagi su questi furbetti del bonus Covid? Avrebbe risposto che “Non si fa politica con la morale, ma nemmeno senza”. Nessun reato, sia chiaro, ma certo una cosa della quale vergognarsi; ammesso che certi personaggi sappiamo provare vergogna. Siamo davanti a politici che riscuotono stipendi mensili di oltre 10 mila euro e che, pure, hanno sentito l’esigenza indifferibile di ricorrere sempre allo Stato che li paga per avere il bonus concesso dal Parlamento a milioni di lavoratori rimasti senza incassi in piena pandemia.
Le scuse dei furbetti
La cosa più sconcertante è stata ascoltare le loro scuse: colpa della segretaria, della moglie, della mamma… Loro, gli interessati, non ne sapevano nulla. Alla vecchia maniera, come quel ministro che si era trovato una casa milionaria davanti ai Fori Romani “a sua insaputa”. Qualcuno ci ha provato: “Ho versato tutto in beneficenza”. Come se fare beneficenza con i soldi degli altri fosse una giustificazione credibile. Ma questi sono quelli che abbiamo eletto; siamo noi che li abbiamo resi credibili!
Chissà Biagi
Forse Biagi sui furbetti avrebbe detto: “Non si fa politica con la morale, ma neppure senza”. E sarebbe bastato per far capire dove siamo arrivati. Biagi, che avrebbe compiuto 100 anni in questi giorni di metà agosto, aveva il dono rarissimo di farsi sempre capire. Non usava paroloni, non girava attorno al problema, non offendeva il lettore con le sue spiegazioni, si limitava a esporre i fatti: li raccontava senza ipocrisia, lasciava al lettore il compito di giudicare. Non potevi mai dire che non avevi capito.
Quanto manca
Tra coloro che ci sono mancati di più in questi ultimi quindici anni c’è proprio Enzo Biagi, per la sua dirittura morale, per il suo coraggio, per la sua coerenza e per la capacità di indicare una strada. Non faceva esercizi di presunzione, nemmeno caricava le pagine di rancore.
Chi era Biagi
Il grande giornalista erano nato un secolo fa a Pianaccio, paesino dell’Altopiano emiliano; dall’altra parte di quelle montagne ci sono le alture pistoiesi, le stesse sulle quali nell’agosto del 1944 Walter Reder e le sue SS trucidarono migliaia di civili, molte le donne, moltissimi bambini. Uccisero senza motivo, spararono ai neonati lanciati in aria; ammucchiarono ostaggi nelle chiese poi scaricarono i mitra e diedero fuoco. Da Marzabotto a Sant’Angela di Stazzema, migliaia di vittime.
Biagi era partigiano sull’Appennino, dopo l’8 Settembre entrò nella Resistenza col nome del “Giornalista”. Ai suoi funerali c’era un manifesto col nome e una sola parola: “Enzo Biagi Partigiano”.
Il mio ricordo
È morto tredici anni fa a novembre, dopo qualche settimana di ricovero. Gli ultimi anni non furono sereni: perse la moglie e poi la figlia minore Anna accasciatasi nella cucina di casa. Disse che era innaturale vedere morire una figlia. Forse voleva aggiungere che era stato anche innaturale toglierli il lavoro solo perché si voleva mettere a tacere una voce libera, una penna capace di non tirarsi indietro al momento giusto. Biagi era un uomo della carta stampata, ma anche uomo di successo della televisione.
La sua storia
I suoi programmi sono stati giudicati dagli ascoltatori tra i migliori nella storia della Rai, il suo “Fatto” in assoluto la migliore trasmissione d’informazione. Proprio questa libertà non piaceva al potere politico, soprattutto a Berlusconi che con un editto dalla Bulgaria lo cacciò pubblicamente dalla Rai – che non era la sua! – e lo mise in un angolo dopo decenni. I dirigenti Rai, naturalmente, misero la firma alla lettera di licenziamento. Era stata apertamente violata la libertà di stampa, era stato violato l’articolo 21 della Costituzione che garantisce il diritto d’opinione. Ci fu una risposta quasi dovuta, non quella necessaria: anche da parte del giornalismo italiano. Biagi tornerà in video pochi mesi prima di morire, forse più per una comprensibile rivalsa che per esigenza televisiva. Si congedò dal grande pubblico puntando sulla telecamera i suoi occhi miopi nascosti da lenti spesse e salutando. Sapeva che non sarebbe più tornato.
Biagi e il rispetto che i furbetti non hanno
Ha lasciato una lezione difficilmente ripetibile. Ha insegnato il rispetto per la notizia e per il lettore. Ha insegnato l’arte dell’intervista che serve a far conoscere le opinioni dell’intervistato e non a mettere in mostra l’acrobatica bravura di certi intervistatori. Ha fatto capire che il giornalista è e rimane sempre un testimone che ha il dovere di raccontare, anche con i suoi errori.
Contro il potere e furbetti
Il giorno del funerale il piccolo paesino di Pianaccio era affollato come non sarebbe mai più accaduto. C’erano gli amici di Biagi. Il cardinale Tonini tuonò contro il potere che lo aveva esiliato e forse fatto ammalare. C’erano Prodi e Missoni, Umberto Eco e Montezemolo. C’erano molti colleghi giunti da ogni parte; c’erano lettori e teleascoltatori arrivati soltanto per salutare chi aveva accompagnato tante loro serate.
Il funerale
La bara fu portata a spalle su un viottolo erboso fino al piccolo cimitero di Pianaccio, tra tombe molte delle quali portano il cognome Biagi, uno dei due o tre più diffusi della piccola valle. Il giornalista aveva voluto essere sepolto per terra accanto alla moglie Lucia. Diceva che quello era il posto dal quale, in fondo, non si era mai mosso pur avendo girato il mondo. Sapeva che da quelle parti c’è un’abitudine antica: i parenti e gli amici arrivano con uno sgabello pieghevole, si siedono davanti alla tomba e incominciano a raccontare quello che il defunto non ha visto e non ha letto. Insomma, lo aggiornano su quanto è accaduto.
Come lo ricordo io
Mi immagino seduto su quello sgabellino a parlare col “maestro”, a raccontargli di questa storia dei politici che hanno chiesto il bonus. L’uomo aveva l’arma dell’ironia che usava sempre, non si prendeva mai troppo sul serio, ma prendeva tremendamente sul serio quelli che pensano di dirci cosa dobbiamo fare o cosa non possiamo fare. La legge vale solo per gli altri. Loro fanno quello che vogliono.