Il Kyudo ha origini antichissime. Nel Giappone feudale, l’arco era l’arma base dei soldati ma se la sua freccia ha percorso secoli per arrivare fino ai giorni nostri, vuol dire che il Kyudo è molto di più. Un’arte marziale, certo, ma in realtà il Kyudo è un percorso per trovare noi stessi. Nel Triveneto l’unica scuola di Kyudo si trova a Padova, più precisamente a Vigonza, e conta una trentina di iscritti. Per capire meglio questo mondo abbiamo intervistato Simone Cimo Nogarin, uno dei massimi esperti del Kyudo in Italia e da due anni istruttore nella sua scuola nel padovano, che considera questa arte “un viaggio in cui non si finisce mai di imparare”.
L’intervista sul Kyudo a Nogarin
Come è possibile avvicinarsi al mondo del Kyudo? “Oggi grazie ad internet abbiamo l’accesso a qualsiasi tipo di informazione, quindi scoprire il Kyudo è molto più semplice. Negli anni 70’ esplose a livello mondiale il genere dei film di arti marziali, specie quelli con Bruce Lee, ma io sono entrato in questo mondo con “Lo zen e il tiro con l’arco”, un libro del professore tedesco di filosofia Eugen Herrigel. Si tratta di un piccolo libro che però offre un lucidissimo resoconto su come una persona possa avvicinarsi allo Zen e ad alcune arti, come ovviamente il Kyudo”.
Una filosofia
Per lei, nel Kyudo, cosa vuol dire fare centro? “Il bersaglio è un pretesto per conoscere sé stessi, centrare il bersaglio è però il fine ultimo di un percorso molto difficoltoso e lungo. Kyudo non significa tirare la freccia e fare centro, la tecnica è infatti molto complessa e nei primi mesi ci si limita a degli esercizi con gli elastici e a colpire, a distanza di 2/3 metri, il makiwara, un cilindro di paglia di riso. Con questa preparazione si imparano le posture e i movimenti giusti e le procedure di tiro corrette che consentono poi di tirare una freccia sul tradizionale bersaglio a distanza di 28 metri”.
Kyudo come traguardo
Dunque è più importante il percorso, non la metà. “Esattamente, quando pratichiamo infatti c’è anche una lezione teorica, leggendo vari articoli di alcuni cataloghi. Uno dei più importanti è il Mokuroku, una raccolta di 60 regole riguardanti le tecniche tramandate dalle generazioni precedenti. Il nostro Mokuroku è del 1600 ma ce ne sono anche di più antichi e, come appendice, sono presenti dodici poesie segrete. Queste, il cui significato può essere spiegato solo da un istruttore che le traduce, servono non per affinare la tecnica bensì per degli insegnamenti circa lo spirito e l’etica del lavoro”.
L’istruttore
La figura dell’istruttore così va oltre all’insegnamento dei movimenti e delle tecniche di tiro. “L’istruttore deve insegnare soprattutto l’etica. Quando si entra in un dojo, il luogo di pratica, per prima cosa c’è un inchino verso le fotografie che rappresentano i maestri antichi. Anche il bersaglio, che è sì il nemico, visto come colui che ti permette di imparare la tecnica e dunque lo si saluta, con un inchino sia prima che dopo aver tirato la freccia. All’interno del dojo l’etica viene prima di tutto. Ci sono i posti prestabiliti dove mettere gli archi e i guanti, ogni oggetto ha il suo posto. Così facendo sono libero di concentrarmi solamente sulla tecnica, senza perdere tempo, ad esempio, nel discutere dove mettere il mio arco”.
Mens sana in corpore sano
Il Kyudo aiuta nella vita di tutti i giorni? “Tantissimo, si insegnano in particolar modo la disciplina e il rispetto all’ascolto, nel dojo si rimane in silenzio e parla solo l’istruttore. Troppo spesso anche i ragazzi più giovani hanno la presunzione di sapere, invece devi avere il rispetto della persona che ne sa più di te, imparando ad ascoltarla. Inoltre quando si fa il Rei, il saluto, viene fatta una fila in ordine di anzianità, non di età ma di pratica. Nel nostro dojo abbiamo un ragazzino di dieci anni che, praticando con noi da cinque, nell’ordine viene prima di persone molto più anziane di lui. Bisogna portare rispetto nei confronti di tutti e se si viene a praticare senza il kyudogi, la divisa utilizzata nel Kyudo, anche se la persona in questione pratica da tanti anni, si retrocede nell’ordine in ultima posizione. Il Kyudo insegna come rapportarti con la vita: stare al proprio posto e sapere la misura di come e dove stare con gli altri”
Kyudo, spirito, mente e concentrazione
Si dice che la bellezza del Kyudo sia il potersi immergere in un’atmosfera che comprende corpo, energia e mente. È vero? “Assolutamente, diventi un tutt’uno con te stesso e avverti una piacevolissima armonia nei confronti del mondo che ti circonda. Noi, qui dove pratichiamo a Vigonza (PD), in questo siamo molto fortunati, trovandoci nel verde del parco di una villa che sembra essere proprio un piccolo angolo del Giappone. In questo modo è inevitabile che si venga a creare un rapporto molto stretto con la natura. Inoltre nel Kyudo non decidi tu quando scoccare la freccia, crei delle condizioni di forma e di torsioni tali per cui la freccia scocchi da sola. Come dicevano gli antichi maestri, è come se da dietro qualcuno ti tagliasse il filo dell’arco senza che tu te ne accorga”.
Un sogno
Lei è anche cantautore, chitarrista e compositore. Ha mai pensato di dedicare una canzone al Kyudo? “(ride) Ancora non mi è venuto in mente, io nelle mie canzoni mi dedico a tematiche sociali. Il mio maestro ha però scritto un romanzo dedicato al Kyudo, raccontando la storia di una ragazza che si avvicina a questo mondo”.