Non tutti sanno che il Sistema Sanitario Nazionale è figlio della cultura del NordEst. La legge istitutiva, la 833 del 1978, è infatti a firma Tina Anselmi da Castelfranco. Era lo stesso anno in cui Franco Basaglia, veneziano che lavorava in Friuli-Venezia Giulia, vinceva la sua battaglia per la dignità delle persone con malattia mentale. Il nuovo Servizio Sanitario Nazionale superava l’idea della concentrazione delle cure in grandi e rari ospedali e le portava sul territorio. In questo modo sono nati distretti, consultori, si è potenziato il ruolo dei medici di famiglia, si è fatta prevenzione sul territorio.
Servizi nuovi, vicini alla persona, necessitavano di nomi nuovi: così è nato il concetto di USL, le Unità Sanitarie Locali, nelle quali sono confluite tutte le attività per la salute. Per non parlare della centralità del ruolo dei Sindaci nella tutela della salute del cittadino: una pietra angolare per un paese come l’Italia, costellato di campanili e di micro-culture locali. Una diffusione di servizi policentrica, efficiente, vicina alle persone e quotidiana che chiunque conosca il nord-est può riconoscere non soltanto nella geografia ma nel modo di pensare. E il modo di pensare del nord-est, nella sua migliore declinazione, è umile ma concreto: queste caratteristiche hanno portato a immaginare un sistema basato su prevenzione e vicinanza, un sistema capace di offrire una qualità di servizi comparabile a paesi che spendono anche più del doppio per decenni.
Da Sistema sanitario di eccellenza alla crisi
Gli anni sono passati, ormai più di quaranta, e il mondo è cambiato. Da paese in spinta l’Italia diventa il malato cronico tra le economie occidentali. La medicina si evolve, i macchinari costano, gli stili di vita migliorano e l’aspettativa di vita si alza. Anche la prevenzione e il monitoraggio costano, la vicinanza quotidiana alle persone è un peso economico per le amministrazioni. E allora si pensa che, forse, ormai i grandi ospedali dotati di tecnologie all’avanguardia e di personale ad altissimo livello di formazione possa risolvere la maggior parte dei problemi.
Certo, potrebbe essere un passo indietro culturale, ma forse le tecniche e gli strumenti del 2000 ci permettono di farlo senza contraccolpi sensibili. E poi c’è il ruolo del privato: i servizi territoriali e la prevenzione sono fondamentalmente un costo mentre le prestazioni più complesse e tecnologiche, che sono anche più rare e concentrate in centri di eccellenza, possono portare anche un margine di profitto. L’evoluzione della sanità, poi, è a macchia di leopardo nel Paese. Infatti una delle ricadute più sensibili della riforma federalista è una forte decentralizzazione del controllo del sistema salute. E allora anche le differenze culturali emergono: il caso più eclatante è la creazione di una rete di strutture convenzionate d’eccellenza in Lombardia, capaci di attrarre pazienti non solo dall’Italia ma anche dall’estero.
Sistema sanitario e Covid
E poi arriva il COVID-19 e tutto cambia. Ci siamo resi conto che la sanità diffusa sul territorio è un presidio di salute irrinunciabile. Le regioni con una maggiore cultura della capillarità hanno retto l’urto della pandemia in maniera più efficiente, contenendo il virus, monitorando la salute dei cittadini ed evitando quanto più possibile l’assembramento nei luoghi di cura. Ma il passo indietro culturale era per metà già fatto, pertanto si dovrà farne uno e mezzo in avanti per avere un sistema di salute basato sulle nostre radici culturali e al passo con i tempi.
Cosa c’è da sapere
Come dobbiamo sperare sia la gestione della salute in Italia nei prossimi anni dunque? Cosa dobbiamo pretendere dal Legislatore e dalle amministrazioni? Cosa dobbiamo sapere? Ecco i punti:
I punti fondamentali per un ottimo Sistema Sanitario. Punto 1
1) Innanzitutto il concetto di salute è vasto, molto vasto, e il sistema che lo promuove deve abbracciare pienamente questo concetto. La parte migliore di questo primo fatto è che è culturale e quindi gratuito. Salute è non stare male, certo, ma anche stare meglio ogni giorno, avere buone relazioni, avere consapevolezza del mondo che ci circonda e possibilità di scelta, avere cultura, lavorare in sicurezza, invecchiare senza perdere libertà. E questi sono solo pochi esempi di un costrutto ancora più ampio. E allora servono certamente medici e tecnologie, ma anche psicologi, infermieri, educatori, orientatori, formatori, figure di supporto alla collocazione lavorativa, assistenti sociali, ispettori del lavoro, consulenti aziendali.
Soprattutto, serve che queste figure siano coordinate per creare salute partendo dal basso, da quella quotidianità che a volte sembra essere stata dimenticata da chi governa. In questa prospettiva, situazioni quotidiane come lo smart working, le relazioni adolescenziali, le scelte di vita sono aspetti della salute. E questo non significa patologizzare ogni problema, anzi, significa abbracciare il concetto che lo stare bene ogni giorno possa e debba essere supportato dalle strutture pagate con le tasse dei cittadini.
Punto 2
2) Il territorio può ancora essere ancora molto potenziato. Negli anni si sono susseguite proposte e piani nazionali e regionali per rendere più efficace ed efficiente la presenza territoriale dei servizi, specialmente della medicina. La tecnologia di oggi consente ad ambulatori territoriali, quelli che sono stati chiamati nel tempo Case della Salute o Medicine di Gruppo Integrate, di lavorare come ospedali di quarant’anni fa. Proprio come la potenza di calcolo di uno smartphone è superiore a quella che aveva la Nasa quando ha mandato gli astronauti sulla luna. Ma c’è di più: queste strutture, che godono della fiducia dei cittadini, possono ospitare gli psicologi e gli altri servizi già menzionati, creando presidi completi di benessere e di salute nei territori.
Punto 3
3) In Italia sappiamo fare ricerca. I dati di quanto riusciamo a fare nel nostro paese sono straordinari rispetto alle risorse che vengono stanziate. I medicinali, i protocolli, i sistemi diagnostici sono un bene per tutti e anche una potenziale fonte di ricchezza: dobbiamo pretendere di essere un paese avanzato nel campo della salute, che sarà sempre più importante nel futuro.
Punto 4
4) La tecnologia consente di portare la salute alle persone in modo veramente capillare, ma si deve creare una cultura che lo permetta e sistemi di protezione e sicurezza per i cittadini. L’app Immuni è l’ultima dimostrazione che la tecnologia portatile può essere utilizzata per fini di salute, ma tale possibilità è ben lontana dall’essere una garanzia di successo.
Con gli smartphone possiamo fare sì che ogni cittadino abbia in tasca, soltanto per fare alcuni esempi, un sistema diagnostico portatile, una base per colloqui psicologici, un sistema di analisi delle abitudini alimentari, un portale per l’informazione sulla salute. In contemporanea possiamo costruire sistemi di tracciamento, algoritmi predittivi delle malattie, terapie digitali di provata efficacia. La cosa bella è che queste possibilità sono già realtà. Se però non si diffonderà la cultura della salute e gli stati non saranno in grado di tutelare i cittadini queste innovazioni rimarranno delle utopie, nella migliore delle ipotesi, o dei rischi evitati dalle persone.
Conclusioni sul sistema sanitario
Il NordEst ha dato un contributo fondamentale al concetto di salute in Italia e nel mondo, il nostro modello socio-sanitario è stato studiato a livello internazionale e il pensiero di Basaglia è uno dei contributi culturali del nostro paese di maggiore impatto dal dopoguerra. Oggi c’è bisogno che ritroviamo quella spinta che ci ha permesso di pensare a un sistema grande ed efficiente dalle radici più umili, con il coraggio di innovare e di guardare il mondo con occhi nuovi, fieri delle nostre radici.